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da VolterraTeatro 2015

Volterra è davvero bella e vale una visita. Visitarla durante VolterraTeatro, festival che da anni si tiene in  luglio è anche meglio, perché il comune decisamente “frizza” e stuzzica.

Ore 15:00. Shakespeare. I know well.
Provare a descrivere o commentare “Shakespeare. I know well” della Compagnia della Fortezza è per ora un azzardo. E’ (come da programma del festival) un primo studio, una prova-aperta-generale di una pièce teatrale che il regista e i suoi attori potrebbero ancora cambiare e stravolgere nei prossimi mesi. Di sicuro è una creazione che già ora colpisce e affonda. La scena è piena e vibrante di oggetti e attori: giovani donne con una presenza scenica fortissima anche se non parlano, figure maschili potenti nella voce e nel corpo e nello sguardo. Gli altoparlanti accompagnano sulla scena pianti, voci, rumori e refrain che si mescolano con le parole degli attori, con i loro diversi timbri vocali, in un avvicendamento di ritmi diversi. La musica è avvolgente e ogni scelta è – senza ombra di dubbio – la migliore scelta possibile per chi ascolta. Come ci era accaduto per “Santo Genet” usciamo con un motivetto ben piantato nella testa, e ci martellerà per chissà quanto. I testi, che immaginiamo essere in buona parte lascito shakespeariano, sono specchi: difficile non riconoscersi in alcuni frammenti, in molti frammenti. Difficile non pensare “questo mi appartiene”. I testi, vorremmo averli sottomano, sul comodino, nel portafogli, per poter aprire di quando in quando il foglio stropicciato su cui sono scritti per poterli ancora leggere, per ritrovarci.

Il carcere non offre ovviamente una platea comoda: si assiste alla rappresentazione mentre ci si cuoce sotto il sole, seduti in terra a gambe incrociate come gli indiani o seduti/in piedi su poche panchine, gomito a gomito coi vicini che (come te) sudano. E’ una platea che non permette una visione completa della scena in perenne movimento: per un attore che parla al centro del palco – ma un palco neppure c’è – ci sono alla sua sinistra e alla sua destra altri attori, e anche loro raccontano storie con una partitura di sguardi e movenze che meriterebbero una visione addirittura esclusiva. E’ una scena che cattura, ma mentre sei catturato da qualcosa senti che stai tralasciando altro ed è una perdita che ti pesa. E’ una scena che ti cattura, e che molto probabilmente ti chiederà di tornare.

(Impossibile fare fotografie, se non agli addetti-stampa. Poco male:  Stefano Vaja fa scatti molto belli).

Ore 21:00 Pilade/Campo dei Rivoluzionari.
Questa rappresentazione alle saline è solo un frammento di un ampio progetto, ben descritto qui.
La location è senza dubbio suggestiva, e forse si impone un po’ troppo sul resto. Difficile concentrarsi sugli attori, che in uno spazio così grande e tanto interessante appaiono un po’ piccoli e un po’ irraggiungibili. Il bianco più che far risaltare gli attori un po’ se li mangia e se li inghiottisce, e decisamente predomina sui testi, probabilmente perché a causa di problemi tecnici la resa audio non è delle migliori: si capisce ben poco e quel poco con difficoltà. Si avvicendano attori e non attori, e si sente con quanta forza il teatro in questa occasione davvero si faccia “sociale”, accogliendo e mettendo in scena la presenza e la protesta di lavoratori in difficoltà. Si alternano monologhi e cori, emergono due donne in rosso, una grande e forte e l’altra piccola e bambina, vengono snocciolati un corteo che porta rami d’ulivo ed una formazione di “sbandieratori”… Fra tutto e forse su tutto, però, è quel bianco che incanta, e quando iniziano a scendere colonne di sale dall’alto è là che va la nostra attenzione.

Questa volta abbiamo un po’ di foto, scattate con tanta fortuna da un cellulare.

volterra_2015_saline_pilade

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